Perchè Israele ha attaccato Gaza?

Su quello che sta succedendo a Gaza, sarò sincero, ho molti dubbi. Le uniche certezze che ho sono i morti…quelli non mentono mai. Cerco come posso di tenermi aggiornato valutando bene le fonti delle notizie con le quali spero di arricchire il mio sapere. Non è facile. I dubbi restano. Posto questo articolo di Enrico Franceschini perchè penso chiarisca molto le idee.

 

Un amico telefona dall’Italia e, memore degli anni da me trascorsi
in Israele come corrispondente di “Repubblica”, si chiede se i leader
israeliani sono stupidi o sono pazzi. I bombardamenti e poi l’attacco
di terra a Gaza hanno provocato unanimi condanne mondiali isolando lo
Stato ebraico, scatenato proteste di popolo nelle piazze arabe del
Medio Oriente e apparentemente distrutto le residue speranze che
l’avvento di Barack Obama alla Casa Bianca possa portare a una
soluzione del conflitto. Poichè era largamente prevedibile che
l’attacco desse questi risultati, per quale motivo i leader israeliani
l’hanno deciso lo stesso? Questo si domanda il mio amico, convinto
che i leader di Israele non siano affatto stupidi nè pazzi, non
prendano decisioni simili alla leggera: ma allora, perchè l’hanno fatto?

La stampa inglese e americana è piena di risposte a questa domanda,
risposte che peraltro si ripetono, in modo simile, ad ogni riaccendersi
del conflitto in circostanze analoghe. Israele non lancia un’azione
simile senza una profonda riflessione e un calcolo di tutti i pro e i
contro. Provo a riassumere i “pro”, dal punto di vista israeliano. 1)
Israele si è ritirato da Gaza tre anni fa e non può tollerare che ora
da “Gaza liberata” i palestinesi la bombardino, per quanto scarsa sia
l’efficacia dei razzi sparati da Hamas sulle città israeliane. 2)
Israele ritiene che non reagire ai razzi di Hamas darebbe un segnale di
debolezza, di arrendevolezza, ad altri suoi nemici, ben più pericolosi
di Hamas, per esempio Hezbollah nel Libano del sud e, ancora di più,
l’Iran con i suoi programmi nucleari. 3) Israele spera di distruggere
Hamas non solo militarmente, ma soprattutto politicamente, dimostrando
alla popolazione di Gaza quanto sia insensata la politica seguita da
Hamas, e aprire così la strada a un ritorno al potere a Gaza
dell’Autorità Palestinese del presidente Abu Mazen, l’unica entità con
la quale pensa sia possibile raggiungere un accordo di pace.  4)
Israele è alla vigilia di elezioni, e i suoi leader più favorevoli alla
trattativa di pace con i palestinesi, il ministro degli Esteri Livni e
quello della Difesa Barak, sperano di guadagnare consensi usando la
mano dura contro Hamas, in modo da battere alle urne il “falco”
Netanyahu, la cui vittoria farebbe fare probabilmente un ulteriore
passo indietro alle speranze di pace. 5) L’attuale coalizione vuole
ottenere una vittoria militare, per riabilitarsi dopo l’imbarazzante
risultato della criticatissima operazione militare in Libano nel 2006.

 Questi sono più o meno i ragionamenti della leadership israeliana
per l’offensiva in corso. Può darsi che alcune di queste ragioni si
dimostrino valide: per esempio i sondaggi segnalano ora una possibile
vittoria della Livni alle urne contro Netanyahu. Ma nuovi sviluppi del
conflitto potrebbero capovolgere questa tendenza e consegnare
ugualmente la vittoria a Netanyahu. E il rischio che l’offensiva si
riveli comunque controproducente, non solo dal punto di vista
internazionale ma anche per gli interessi israeliani, resta alto. Un
aspetto negativo, dal punto di vista di Israele, è la sproporzione
delle vittime: cento palestinesi morti per ogni israeliano. Un altro è
che se il numero delle vittime israeliane salisse, l’opinione pubblica
israeliana potrebbe finire per considerare l’offensiva un insuccesso.
Un terzo è che l’offensiva potrebbe rafforzare politicamente Hamas,
anzichè indebolirla, mettendo in una condizione ancora più difficile
l’Autorità Palestinese del presidente Abu Mazen. Come ricorda per
esempio l’Observer di Londra, molti palestinesi non vedono l’offensiva
come una reazione ai razzi di Hamas ma come il proseguimento di una
politica punitiva e repressiva: nei tre anni successivi al ritiro da
Gaza, gli attacchi israeliani hanno ucciso 1700 palestinesi a Gaza, tra
cui, nell’ultimo anno, 68 bambini o ragazzi, inclusi quattro bambini da
uno a cinque anni in aprile, colpiti da un missile caduto sulla loro
casa mentre facvano colazione. Vittime a parte, il blocco economico
creato da Israele attorno a Gaza, anche quello con l’obiettivo di
indebolire politicamente Hamas facendo pagare un alto prezzo alla
popolazione della striscia, ha dato scarsi risultati: “Certamente non è
stato produttivo dal nostro punto di vista, ed è possibile che sia
stato controproduttivo”, dichiara all’Observer Yossi Alpher,
ex-ufficiale del Mossad ed ex-consigliere militare di Barak quando
quest’ultimo era primo ministro. Commento dell’Economist: “Poichè Hamas
non sembra in procinto di scomparire, (Israele) deve trovare il modo
di cambiare il modo di pensare di Hamas (per spingerla a riconoscere lo
Stato ebraico e accettare una soluzione negoziata del conflitto). Le
bombe da sole non riusciranno mai nell’intento”.  

 

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