Mafia – Morte – Avvelenamento ambientale in Veneto

AVVELENAMENTO AMBIENTALE E MALATTIE PROFESSIONALI:

LO SFRUTTAMENTO DI UOMINI E TERRITORIO ALLA TRICOM DI TEZZE



 

Già
scrivevamo (nel no.3/2007 di NU) della grave situazione di inquinamento
ambientale verificatasi da più di 30 anni nella zona dell’alta
padovana, a ridosso della provincia di Vicenza. Inquinamento dovuto
all’uso sconsiderato di sostanze tossiche da parte di diverse aziende,
galvaniche, zincherie, colorifici, ecc. in una zona ristretta, a
ricarica di falda, molto vicina al fiume Brenta. Le sostanze velenose
adoperate nei processi produttivi sono solventi e diluenti, arsenico e
cianuri vari, nichel, piombo e soprattutto cromo esavalente.
Quest’ultima sostanza, particolarmente utilizzata nel processo
produttivo, sembra sia all’origine di parecchi decessi per tumori
polmonari ed altre patologie verificatisi all’interno di un’azienda,
Tricom o Galvanica PM, il cui legale rappresentante è già stato
condannato nel 2006 dal Tribunale di Cittadella (Padova) per
avvelenamento ambientale a 2 anni e 6 mesi di reclusione e al pagamento
di circa 2,5 milioni di euro. Stiamo parlando di un inquinamento
dell’acqua considerato irreversibile, in una zona di 15 km.quadrati e
di un danno complessivo calcolato in 158 mil. di euro. Ovviamente il
titolare della Tricom condannato non ha assolutamente assolto al
proprio debito con la giustizia: ha infatti dichiarato fallimento in
tempo utile e, quanto al carcere, l’indulto ha abbondantemente coperto
la condanna comminata. Resta comunque un danno enorme protrattosi per
più di 30 anni, visto che già nel 1977 la popolazione veniva rifornita
di acqua (in una zona di risorgive tra le più importanti d’Europa)
dalle autobotti dei pompieri.

La
situazione peggiore, tuttavia, si registrava all’interno dell’azienda:
nel reparto cromatura della Tricom venivano effettuate lavorazioni
pericolose ed usate, senza precauzione alcuna, varie sostanze
cancerogene e tossiche che hanno contaminato, attraverso la via
respiratoria, ma anche quella cutanea ed orale, gli addetti. Le
indagini hanno evidenziato aumenti rilevanti dell’incidenza di cancro
polmonare, ma anche ad altri organi. Il dato sulla mortalità per cancro
sui cromatori della Tricom, aggiornato al 31.12.2006, è di 18 casi, con
un aumento dell’incidenza quasi sestuplicato (6 volte!) rispetto al
dato riferito alla mortalità per questi tumori nella popolazione
italiana.

Come
si lavorava alla Tricom? Dalle testimonianze emerge che “i reparti non
sono separati tra loro: in un unico stanzone c’era il reparto
d’imballaggio, di cromatura, di verniciatura, di pulitura,… Chiunque
poteva ammalarsi, nessuno utilizzava guanti, mascherine, non c’erano
sistemi di protezione. I dirigenti non fornivano niente di tutto ciò,
così come non fu mai detto a quali rischi effettivi si poteva andare
incontro. Oltre al cromo VI e al nichel sono stati trovati ben 7 tipi
di cianuro, piombo, soda e composti, acido cianurico… Dalle vasche dove
avveniva la cromatura saliva una nebbia persistente…..L’intera area
lavorativa era un bagno di cromo VI, l’operaio camminava in una
fanghiglia, il pavimento in cemento era stato corroso e i veleni sono
filtrati nel terreno. C’erano state ispezioni da parte dell’USL. Ogni
volta nei verbali si segnalavano carenze, ma le coperture politiche
hanno permesso di ovviare. Tutti sapevano ma nessuno parlava. Mio padre
ha lavorato quasi 30 anni alla Tricom, nel reparto cromatura. Prima di
lui sono deceduti altri colleghi, una ventina…..Anche per il paese in
cui vivo, la morte di mio padre era scontata: lavorava alla Tricom!!!”
(testimonianza del figlio di una delle vittime).


Questa
vicenda, tuttavia, rischia di non avere alcun risvolto penale, dato che
il PM presso il Tribunale di Bassano del Grappa ha chiesto
l’archiviazione dell’indagine. Contro questa eventualità si sta
battendo da tempo il nostro Comitato per la difesa della salute nei
luoghi di lavoro e nel territorio, che ha portato a galla una catena
infinita di omissioni e complicità che configurano altrettante ipotesi
di reato. Le omissioni dell’ex sindaco DC (uno degli indiziati), che
per circa 20 anni ha amministrato in maniera irresponsabile il paese,
coprendo in tutti i modi l’azienda, presso la quale era egli stesso un
dirigente; le omissioni del sindacato CISL e dei suoi legali che non
tutelavano in alcun modo i familiari degli operai deceduti od ammalati
nella denuncia penale, ritenendo aprioristicamente inutile ogni
tentativo di ottenere giustizia; le omissioni della procura del
Tribunale di Bassano del Grappa che, a fronte della smaccata evidenza
della tragedia che molti operai hanno vissuto alla Tricom, si ostina
tuttavia a richiedere l’archiviazione dell’indagine avviata.

Il
Comitato, costituito con le persone più sensibili ed i familiari degli
operai deceduti od ammalati, sta svolgendo un grosso lavoro di
controinformazione tra la popolazione e l’opinione pubblica, ha svolto
numerose assemblee cittadine, molto partecipate, e ha ripetutamente
presidiato il Tribunale nel corso delle 3 (tre!) udienze già celebrate
che avrebbero dovuto decidere sull’archiviazione dell’indagine o sul
rinvio a giudizio degli indiziati. Proprio questa eventualità ha
portato molti comitati che si battono per la salute dei lavoratori e
dell’ambiente e molte persone sensibili all’udienza del 21 novembre.
Questa ultima udienza, molto importante, per la quale avevamo investito
molte energie, costituendo un pool importante di esperti medico-legali
che respingessero l’ipotesi avanzata dell’archiviazione, si è conclusa
con l’ennesimo rimpallo di ir-responsabilità tra magistrati che ha
portato all’ennesimo rinvio. In sostanza il GIP ha deciso di non
decidere rinviando il tutto al PM perché sia lui a prendere questa
fatidica decisione, con che tempi non lo possiamo sapere. Una delusione
per tutti, dato che esistevano gli elementi per il rinvio a giudizio e
che fa ritenere plausibile il fatto che i magistrati puntino alla
prescrizione dei reati.

Contro
questa ipotesi dobbiamo ora mobilitarci ancor più concretamente,
sensibilizzando ulteriormente la popolazione ed allargando la presenza
dei familiari, rilanciando la lotta anche sul terreno politico locale,
affinché emergano le responsabilità dei tanti politici ed
amministratori che in epoche successive hanno taciuto e coperto questi
omicidi da lavoro. Vogliamo sapere perchè ancora non è stata avviata
una indagine epidemiologica tra la popolazione interessata, dato che ai
rischi nell’esposizione a questi veleni è stata esposta anche buona
parte della popolazione. Questo significa approfondire i rapporti con
territorio e popolazione, proseguendo la lotta ed allargandola ad altre
componenti.

Bisogna
considerare che in Veneto si vanno costituendo numerosi comitati di
salvaguardia dell’ambiente. E’ il risultato delle innumerevoli
speculazioni pubbliche e private compiute in nome di progresso e
sviluppo. Sorgono comitati spontanei un po’ ovunque: contro le
escavazioni dissennate che da molto tempo sconquassano il territorio
per i profitti della potente lobby dei cavatori, contro i depositi
abusivi di rifiuti tossici (amianto, ecc) seppelliti dappertutto,
spesso in complicità con i clan camorristici, contro la costruzione
dissennata di centri industriali e commerciali, di strade di ogni tipo
e dimensione senza alcuna programmazione, ma solo a scopo speculatico,
ecc. Chi compone questi comitati si rende conto ormai che il motore
dello sviluppo di questa società è il conseguimento del profitto. Casi
come quello della Tricom servono ad aprire gli occhi. La morte sul
lavoro e di lavoro, registrata a suo tempo come pura fatalità, è realtà
visibile dello sfruttamento compiuto in nome del profitto, a Marghera
(CVM), come a Padova o Cittadella (amianto). Tutto questo non può che
servire al processo di crescita della coscienza politica di lavoratori
e proletari ed apre spazi di lavoro politico vitali per noi comunisti.

Deve
risultare chiaro come queste tragedie siano totalmente a carico del
sistema che le ha generate, quello capitalista. La crisi economica,
ormai vistosamente decollata, contiene in sé la crisi di ambiente e
lavoro, intesi unicamente come elementi utili all’accumulazione di
profitto.

La
costruzione di una società impostata sulla pianificazione nell’uso
delle risorse (e non sulla loro distruzione), che elimini la fonte di
ogni disuguaglianza sociale, cioè il profitto, non è più rinviabile.


Luciano
Orio – "Comitato per la difesa della salute nei luoghi di lavoro e sul
territorio di Tezze sul Brenta e Bassano del Grappa"

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